La devozione


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AMATRICE

Vorrei iniziare proprio col racconto della morte di san Giuseppe da Leonessa narrata dal medico curante Severo Caponio:

Fui presente quando fra Giuseppe malato grave stava per morire nel Convento dei Padri Cappuccini. Essendo vicino alla morte, volle comunicarsi e dopo aver ricevuto il Santissimo Sacramento, si alzò e si mise in ginocchio. I Frati di quel Convento avevano recitato i Sette Salmi e prima di accostarsi all’Eucaristia, fra Giuseppe parlò loro esortandoli a vivere osservando la Regola del Padre san Francesco, a sforzarsi di guadagnare la benedizione promessa, a dare il buon esempio [522], a disprezzare le cose del mondo perché instabili e caduche, a tenere d’occhio la gloria del Paradiso, perché è quello il nostro bene, il nostro fine, chiedendo perdono se per caso avesse dato loro scandalo o cattivo esempio in qualche occasione; i Frati piansero e anch’io, che ero presente allora; poi si comunicò devotamente (…). Fra Giuseppe morì santamente, il 4 Febbraio 1612 a cinquantasette anni. E questo è stato ed è a conoscenza di tutti e se ne è diffusa fama e voce pubblicamente”. Quindi, san Giuseppe da Leonessa muore ad Amatrice in fama di santità.

Il libro dei Processi dell’anno 1628, è importante per la sua immediatezza, per la sua popolarità e per l’impatto che si ha con la gente semplice. Diviso in due parti: quello che si è avuto a Leonessa e l’altro celebratosi adf Amatrice (Villa Scai). Al di là dei contenuti, della sua ricchezza espositiva dove si evidenzia la spontaneità e il coraggio della gente, in gran parte, semplice ma desiderosa di far conoscere le virtù del loro concittadino, sinteticamente sono tre i punti forti che emergono:

– i miracoli,

– la sua morte ad Amatrice

– le Reliquie, le quali vengono trasporate e custodite nella Chiesa della Madonna di Loreto dei Cappuccini a Leonessa, che diventa santuario e meta di malati in cerca di guarigione.

Nel secondo Processo, quello del 1639-41, dal punto di vista giuridico è una vera ripetizione del Processo del 1628 anche se quest’ultimo viene riconosciuto e accolto nella sua totalità.

Ciò che caratterizza questo Processo è la sua rilevanza giuridica e, di conseguenza, la formalità dell’interrogatorio a cui sia i giudici che i testimoni debbono scrupolosamente sottostare! Durante questo Processo avviene qualcosa di grave. Dal 27 di ottobre del 1639, dopo l’interrogatorio del Padre Ruggiero da Cascia, il Processo viene sospeso. Viene revocato il mandato di Procuratore a Fra Girolamo da Leonessa (25 giugno 1639). Al suo posto fu incaricato Fra Andrea da Leonessa, che era Guardiano al Convento di Cascia.

Il Processo riprenderà il 3 luglio 1641 [204r], nel 18° anno del Pontificato di Urbano VIII, con la deposizione del padre Francesco Chiodoli, figlio di Giuseppe e di Angela Desideri, di anni 60.

Perché questo travaglio all’interno del Processo?

Il motivo ci viene fornito proprio dalla testimonianza di padre Francesco (chissà perché proprio lui!) che in pieno Processo diede la notizia ufficiale del sacro furto.

Non fu lui a portare le Reliquie di san Giuseppe nel Convento dei Cappuccini di Leonessa, nel 1612? La sua deposizione nei Processi inizia con la pagina [220r] e la notizia del furto l’abbiamo nella pagina [220r] rispondendo all’Articolo 34° dell’Interrogatorio.

“Nel periodo in cui il corpo di fra Giuseppe riposava nella nostra chiesa di Amatrice, era grandemente venerato da tutti gli uomini sia del territorio di Amatrice che nei paesi vicini come Leonessa, Montereale, Borbona, Accumoli, Norcia, Cascia e altri luoghi, e lo è pure ora che è Leonessa. Tutti mostravano la propria devozione con i segni, che ho riferiti sopra, cioè venivano frequentemente a visitare quel corpo, si inginocchiavano davanti ad esso, baciavano il Muro in cui era posto, chiedendo grazie, appendevano ex voto e questo è riferito alla maggior parte delle popolazioni. Questa [220r] devozione non è mai diminuita e si riscontra chiaramente anche in Amatrice, benché non ci sia più il corpo; infatti arriva gente per visitare il posto in cui è stato e questo particolare lo conosco perché alcuni Frati, che non ricordo i nomi, me lo hanno confidato. Tutto il resto che ho deposto prima lo so perché vi sono stato presente più volte”.

Perché il corpo di fra Giuseppe, nel giorno del suo funerale, non fu portato processionalmente all’interno di Amatrice come avrebbero voluto le autorità cittadine?

Perché Fra Francesco Chiodoli temeva che fosse sepolto all’interno della cittadina dove, per i più, era considerato un posto più sicuro?

Perché le Reliquie furono trasportate nel Convento di Leonessa?

Fu volontà di fra Giuseppe?

E ancora, perché la celebrazione del 4 febbraio fu così forte e sentita a Leonessa?

Perché la nascita dell’Oratorio e della Confraternita sicuramente quasi a ridosso della sua morte, anche se in forma spontanea?

Ci fu un progetto latente, ma ben preciso, la domanda che noi ci poniamo, per giungere al ‘sacro furto’ e ricondurre le spoglie di un uomo da tutti venerato come santo? Quale fu il ruolo di fra Francesco Chiodoli?

Fra Giuseppe, uomo santo da tutti riconosciuto, conteso e voluto da Montereale e da Amatrice, non doveva forse da Leonessa, sua patria, irradiare la sua luce in tutto il mondo?

Un bel progetto questo, non vi pare?

Tutta questa premessa storica semplicemente per sottolineare che nel 1639, sacro furto o zelo dei Leonessani, il corpo di san Giuseppe fu trasportato a Leonessa, complice il terremoto di quell’anno, e tenuto nascosto per parecchi decenni! Certo non fu un motivo di gioia per gli abitanti di Amatrice e da lì iniziò una Guerra fredda tra le città di Leonessa e di Amatrice! Nonostante tutto la presenza di san Giuseppe è rimasta sempre viva e la sua devozione in Amatrice è rimasta legata alla stanzerra dove lui morì che, nonostante il convento dei Frati Cappuccini fosse adibito ad Ospedale, questa rimase come un piccolo santuario meta di pellegrini e di devozione popolare.

Il disgelo non è stato facile e ha richiesto anni, se non secoli, e soltanto con la tenacia e l’amore verso san Giuseppe da Leonessa da parte dei compianti Padre Mauro Coppari e di Padre Anavio che sono iniziate le prime prove di avvicinamento e di dialogo. A questi bisogna aggiungere lo sforzo di Don Savino D’Amelio, di Don Francesco e, non minore, la devozione e l’attività vigile e storica di don Luigi Aquilini. Finalmente si è creata di nuovo una certa comunione e uno scambio di presenze nella celebrazione della Solenne Novena di febbraio a Leonessa, nella festa ad Amatrice. A ciò è doveroso sottolineare l’impegno di padre Orante, di Padre Orazio, di padre Carmine, di collaboratori indefessi e, per il sisma che di nuovo ha colpito Amatrice e Leonessa, la presenza di giovani Cappuccini nella collaborazione con la chiesa locale di assistenza ai terremotati. Non è stato facile ma la presenza di pace di san Giuseppe da Leonessa ha reso tutto più facile, anche se il cammino è appena iniziato!


CIVITAVECCHIA

La presenza dei Frati Cappuccini a Civitavecchia affonda le sue radici in tempi molto remoti e principalmente per la loro presenza nel Porto, considerato come il Porto dello Stato Pontificio, già dal 1684, quali cappellani, dove anche erano relegati in darsena i prigionieri. I Frati, al suo interno, costruirono un Ospizio che li accogliesse, senza dover risalire ogni giorno al già esistente Convento fuori della città, con la chiesa intitolata a San Felice da Cantalice.

Per la devozione vera e propria dobbiamo, però, attendere il 1746, anno in cui Papa Benedetto XIV canonizzò, cioè proclamò santo San Giuseppe da Leonessa. Inoltre era pure presente un Lazzaretto dove i Frati esercitavano il loro ministero spirituale. A distanza di sette anni dalla canonizzazione di san Giuseppe da Leonessa, i Frati ottennero da Papa Benedetto XIV il terreno per costruire una chiesa tra il Lazzaretto e il monumentale edificio destinato a Granaio. Stiamo nel 1753. Il 4 di ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, del 1770, fu inaugurata la nuova chiesa, annessa all’Ospizio, e questa fu intitolata proprio a San Giuseppe da Leonessa. Fu la prima chiesa intitolata a san Giuseppe da Leonessa! Una scelta sicuramente mirata dal fatto che san Giuseppe da Leonessa andò missionario nella terra lontana ed ostile della Turchia, dal 1587 al 1590, dove assistette i galeotti cristiani incatenati ai remi delle navi del Sultano e dove fu condannato alla pena di morte del Gancio per aver perorata la causa di questi poveracci ad un trattamento più umano del Sultano nei loro confronti. Dovrà passare tanto di quel tempo prima che la devozione verso San Giuseppe da Leonessa riprendesse vigore. La chiesa, a lui intitolata, insieme all’Ospizio e al Lazzaretto fu distrutta nel bombardamento dell’ultima guerra. Fino a questo momento, dopo tante promesse, è risultato vano il tentativo dei Cappuccini di Civitavecchia di far mettere uno stele nel Porto a ricordo della figura di san Giuseppe da Leonessa!

La rifioritura della devozione, fino ad oggi, è iniziata non solo grazie all’opera benefica di Padre Mauro Coppari in mezzo ai Leonessani di Tarquinia, di Capalbio e di Civitavecchia, dove lui si recava ogni anno portando il Crocifisso di san Giuseppe da Leonessa, ma anche alla presenza in Civitavecchia dell’11 Battaglione Trasmissioni “Leonessa” che il 10 settembre 1978, in piazza 7 Aprile, a Leonessa, fu gemellato con la città di Leonessa e da allora anche la devozione verso san Giuseppe da Leonessa fiorì all’interno del Battaglione grazie all’impegno di padre Orante, allora parroco a Leonessa, con i vari e stimatissimi comandanti del medesimo. Anche qui, (a che punto si trova?), ci fu il tentativo di innalzare san Giuseppe da Leonessa ufficialmente quale protettore del Battaglione perché praticamente l’immagine del nostro Santo lo ha accompagnato nelle sue Missioni benemerite di pace al di fuori dell’Italia in Kosovo e in Afganistan.


LEONESSA

San Giuseppe nasce a Leonessa. Abbiamo ereditato notizie dalla sorella Castoria, moglie di Martino Jacobini. Chi più di una sorella può esprimere le sue impressioni più spontanee e più segrete, le sue perplessità di fronte a un fratellino che osservava sicuramente uguale a tutti gli altri fanciulli, eppure tanto diverso da creare stupore e interrogativi, come se sopra di lui si riscontrasse una protezione del tutto particolare di Dio?! Ma, quasi per incanto, cancelliamo tanti secoli e leggiamo: “È vero che fra Giuseppe, sul quale si sta indagando, è vissuto realmente e che nacque qui a Leonessa, ma io non ricordo l’anno, in quanto, come donna, non l’ho tenuto a mente, ma è scritto in un libro nel quale era solito annotarlo mio zio Giovanni Piero Desideri, fratello carnale di mio padre, che ebbe otto figli con mia madre e di tutti scrisse Giovan Piero; il suddetto fra Giuseppe, quando nacque e fu battezzato, ebbe il nome di Eufranio e da mio padre e da mia madre fu allevato con il timore di Dio; dall’età di sette anni il Venerdì cominciò a digiunare mangiando soltanto pane e acqua, non faceva baie e non giocava nemmeno come gli altri fanciulli, ma dopo che era stato a scuola, tornava a casa, si chiudeva nella camera, dove preparava altarini e chiamava me e l’altra nostra sorella Angela, e ci conduceva lì per pregare, per recitare il Padre nostro, l’Ave Maria, ma noi lo deridevamo e non lo ascoltavamo e così lui si metteva a fare le orazioni e non parlava troppo e stava come una colomba senza miele; non si dedicava ai divertimenti e la notte si metteva a letto in ginocchio e pregava e questo l’ho visto molte volte in quanto sua sorella carnale, quando ero ancora giovane, dormivamo in una stessa camera e devo ancora dire che mentre Eufranio era piccolo e prendeva latte dal seno di mia madre, una notte che mia madre gli aveva tolto il guardiolo (strisce di protezione della culla) per allattarlo, si addormentò e mentre dormiva era caduta su Eufranio e si sentì dare un ceffone che la prese molto forte; allora mia madre, sentendosi così colpita, cominciò a gridare e pensò che fosse stato Giovanni mio padre e suo marito. Egli si svegliò e ascoltò quanto era accaduto, poi si alzò e accese il lume e guardò nel viso di Zita, mia madre, e vide che era tutto nero e pieno di lividi; io me lo ricordo benissimo. Poi scrutò intorno e poiché non vide nessuno, si sollevò un pò e la mattina seguente lo riferì ad un nostro zio, di nome Francesco, medico, che affermò che era stato colpita da uno spirito, altrimenti avrebbe soffocato Eufranio. Il volto di mia madre era tutto nero da una parte e così anche un occhio e tale rimase per parecchi giorni”.

Questo l’inizio della vita di san Giuseppe da Leonessa. Tralasciamo tutti i suoi anni vissuti a Leonessa da bambino e da frate per tuffarci all’ultimo viaggio da lui compiuto, già minato dalla malattia, mentre era nel convento di Amatrice. Quest oil racconto del suo nipote frate cappuccino, padre Francesco Chiodoli, come noi troviamo nel libro dei Processi del 1639 nel foglio 215 retto e 216 verso. E’ scritto in italiano volgare, la lingua del tempo, molto comprensibile: “(…) venne nell’Amatrice, ch’io ero Guardiano, et all’arrivar che fece me s’ingenocchiò avanti et me disse: “Padre Guardiano io ho fatto oratione a Dio benedetto et più volte l’ho pregato, che se toccava morire a voi prima di me, che mi trovasse vostra dipendenza; et che se toccava a me, eccho l’anima mia in mano vostra”. Et questo fu verso la metà d’Agosto del detto anno 1611. <215v> Alla fine poi di ottobre andassimo a Leonessa assieme per alcuni negotij ove stemmo d’otto a diece giorni et al partir che facessimo, quando fummo a San Christofaro fuor de Leonessa, alla vista d’essa, venendo con noi alcuni parenti et amici che ci accompagnavano, prese di mano detto fra Gioseppe il Crocefisso che portava al petto, et voltatosi verso Leonessa la benedisse con il detto Crocefisso dicendo: “O Leonessa quest’è l’ultima volta che vi veda, dove ho hauto l’essere et la educazione, vi benedico presenti et assenti et futuri, bestiame, terre”. Et noi altri tutto c’inteneressimo et piangevamo. Et così poi n’andassimo alla volta dell’Amatrice dove poi di febraro prossimo morì et così sequì quanto disse”.

Chi era veramente l’uomo san Giuseppe da Leonessa?

Un carattere fiero, libero, deciso nel rimproverare i peccatori e gli usurai, i giudici, ma pronto a tendere la mano perché era buono; amava i bambini perché in loro vedeva se stesso, la semplicità e il bisogno di amare e di donarsi; era vicino alle mamme in attesa e premuroso verso le donne in difficoltà nel concepire bambini; era aristocratico nel senso buono del termine, delicatissimo anche nei servizi tra i più vili che lui prestava ai poveri, alle piaghe dei malati, agli appestati, come a Costantinopoli: teneva testa ai Superiori, ma con candore, e alla fine era sempre lui a spuntarla! Sarebbe bello incontrarlo oggi San Giuseppe da Leonessa! Quanto tempo è passato, eppure è cosa facile sentirlo ‘nostro’, contemporaneo, amico e compagno del nostro cammino: basterebbe conoscere di più la sua vita, leggere le sue Omelie, contenute in minuscoli Manoscritti, ma oggi pubblicate per essere come ‘acqua di vita”.

Già dopo la sua morte l’alone di santità che lo accompagnava era forte a Leonessa come ad Amatrice. Infatti, di lui leggiamo: “La festa in ricordo della morte del padre fra Giuseppe la celebriamo a Leonessa nella chiesa del Suffragio ogni anno il 4 febbraio; vengono celebrate Messe all’insegna della gioia, viene esposto il Santissimo Sacramento, molta gente si comunica e qualche volta capita che un padre Cappuccino predica e questo lo so perché sono stato presente e ho fatto anche la comunione.[163r]

Altrove leggiamo: “Nella chiesa del Suffragio di Leonessa, in un giorno di un mese che non ricordo, si celebra una festa in onore e in memoria del padre fra Giuseppe, alla quale accorre parecchia gente; si celebrano molte Messe, tanti si comunicano, a volte si tengono anche dei sermoni e i Padri Cappuccini recitano preghiere. Non so se è il giorno dell’anniversario della morte di fra Giuseppe e questo l’ho visto perché anch’io ho partecipato parecchie volte”.

Subito dopo la sua morte, il 4 febbraio, giorno della morte di fra Giuseppe, a Leonessa si svolgono solenni celebrazioni religiose dove partecipa una folla massiccia di uomini e di donne. La novena e i festeggiamenti attuali in onore di san Giuseppe hanno le loro radici quasi subito dopo sua la morte avvenuta nel 1612. Il luogo scelto fu proprio la casa paterna e di nascita di fra Giuseppe, dove fu costruito un Oratorio che aveva funzioni di culto: di fatto era una chiesa vera e propria ma era proibito chiamarla chiesa perché la santità di fra Giuseppe non era ancora riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa. Da questa venerazione popolare e spontanea nacque l’attuale Confraternita che non può sopravvivere senza memoria, deve conoscere le sue radici e da queste ricevere vitalità.

Da qui il dovere di conoscere ma anche di trasmettere ciò che ci ha permesso di camminare e ci ha resi tutti testimoni.

Non solo Dio ha bisogno degli uomini, ma anche i Santi. San Giuseppe da Leonessa ha bisogno dei suoi devote disseminati in ogni parte del mondo, della Confraternita con l’unico scopo di ‘riscrivere’, per ogni tempo, ripartendo da oggi, la sua storia, il suo entusiamo e trasmetterlo col racconto della propria vita, agli uomini sempre assetati di fede e di testimoni! Che compito grande ha ereditato la Confraternita di San Giiuseppe da Leonessa! E’ chiamata a rendere viva la presenza e la devozione verso san Giuseppe da Leonessa con lo stesso entusiasmo e lo stesso orgoglio dei primi Confratelli! E’ un progetto, sempre attuale, che deve partire da Leonessa, ma che non si relizza mai pienamente e dove tutti, oggi, meglio di quattro secoli fà, siamo chiamati a realizzare se ci lasciamo guidare e trasportare dalla storia e dalle memorie che la compongono.

Dal giorno in cui il buon Dio ci donò un ‘fraticello’ sentiamoci più motivati, siamo più forti. Abbiamo l’esempio indiscusso di Padre Mauro Coppari, di Padre Anavio, dei tanti Cappuccini che hanno servito col loro impegno pastorale le sorti della Parrocchia e del Santuario, ma anche di tanti devoti leonessani che guardano con orgoglio la santità del loro concittadino durante la Novena, su a Collecollato o quando cantano l‘inno nazionale, come lo definiva padre Mauro: “Lodate Giuseppe”.


OTRICOLI

Ufficialmente le testimonianze sulla sua iniziale presenza in Otricoli sono concordi nell’indicarci che, per ben due volte, predicò la Quaresima, compiendo pure parecchi miracoli. L’incertezza è legata alla indicazione precisa degli anni. Così Vittorio Simoncello di Narni, nella sua deposizione del 17 agosto 1628 afferma: “Quando il padre fra Gioseppe andò per la prima volta a predicare ad Otricoli, nel 1600 o nel 1601, per quanto ho udito, ordinò ad Attilia di Domenico, mia zia che stava ad Otricoli, raccogliere in giro un po’ di farina, e questo fu all’incirca intorno alla Terza Domenica di Quaresima, e volle che con quella fossero fatte pagnotte per distribuire al popolo la Domenica seguente, in onore del miracolo di nostro Signore Gesù Cristo”. Al Simoncello non interessa ricordare l’anno ma il grande miracolo compiuto da Frate Giuseppe di moltiplicare il pane tanto da bastare alla gente di Otricoli, di Calvi, di Magliano, di Gualdo, di Borgaria, di San Vito Schifanara, Poggio le Vigne, accorsa ad ascoltare la sua predicazione! La seconda data, pure incerta, è così raccontata: “(…) quando padre fra Gioseppe tornò una seconda volta lì a predicare, otto o dieci anni dopo questa prima volta, io avevo circa 16 anni, mia zia mi parlò così: “Quest’anno tornerà a predicare per la Quaresima, ad Otricoli, quel padre Cappuccino che operò il miracolo di moltiplicare il pane del quale si è ragionato e ancora si discute in particolare nella Quarta Domenica di Quaresima!”.

La seconda fonte a nostra disposizione è del Padre Francesco Chiodoli, nipote dello stesso Padre Giuseppe: “Ritrovandosi detto fra Gioseppe l’Anno Santo del 1600, di famiglia con me a Narni, andò detto padre a predicare in Otricoli et similmente, per fare la medesima carità del pane, la Quarta Domenica di Quaresima, fece cercare la farina (…) Et per essere in quell’anno gran penuria di grano, fu trovata poca farina, che non pe’ssava da dodici o quendici libra. Et dicendoli detta Gentildonna che non bastava la farina trovata per fare il pane per distribuirlo a’ poveri, essendosene gran quantità (…) il Padre gle rispose che facesse pure il pane, ché Dio havrebbe provisto”.

Di sicuro San Giuseppe da Leonessa predicò due Quaresime in Otricoli, durante le quali compì tantissimi miracoli tanto che la sua fama di santità restò indelebile nella memoria degli Otricolani! Abbiamo ricordato il miracolo della moltiplicazione dei pani ma non possiamo dimenticare pure quello delle fave (tanto caro agli Otricolani che ogni anno fanno rivivere la memoria di questi miracoli distribuendo pane e fave a tutti i devoti di San Giuseppe da Leonessa) e del miracolo dei ceci! Dell’uno e dell’altro ci limitiamo solo a riportare le due testimonianze. Quella delle fave è duplice e la troviamo sia nelle testimonianze del 1628 che in quelle del 1641. Quella del 1628: “Ho anche inteso riferire pubblicamente che quando fra Giuseppe tornò la seconda volta a predicare ad Otricoli, portò ai poveri dell’Ospedale una grande pentola di fave e quattro pagnotte. Trovò lì 18 poveri e diede loro pane e pietanza di fave a sufficienza e sia dell’uno che dell’altro avanzò e, come ho affermato, ad Otricoli di questo c’è voce e fama pubblica”. L’altra è del P. Francesco Chiodoli: “Ho anco inteso che in detta Quaresima detto fra Gioseppe, volendo fare un poco di carità alli poveri pellegrini, essendoli dato un fazzoletto di fave al principio di Quaresima, portò dette fave ad una Hostessa che ni facesse una pignattina al giorno fin che duravano. Ne fece una pignattina de cinque o sei menestre il giorno con la quale dava la sera a venti pellegrini in circa una menestra per ciasched’uno. Portava da sei pani incirca et una bruffa de vino da quattro o cinque foglette et bastava sufficientemente a tutti et ne cresceva!” Sul miracolo dei ceci, P. Francesco Chiodoli racconta: “Intesi che dell’isteso tempo, ch’essendo in Otricoli un pover’homo, carico di famiglia, il detto Padre, essendovi andato a consolarlo et trovandolo nel bisogno, seminò un’orticello (che haveva in casa detto pover homo) un poco di ceci ch’in ventiquattro hore nascerno, et maturarono et tanto più se ne coglievano, tanto più ne rinascevano et fu di sollevamento di quella famiglia”.

Molta bella, ritengo, la testimonianza di un medico leonessano, Tommaso Palla, che già nel 1639 conferma con ammirazione che la devozione a Frate Giuseppe, non era circoscritta a Leonessa e ai paesi limitrovi ma era molto sentita a Narni e ad Otricoli: “Nella terra di Leonessa il detto fra Gioseppe è tenuto per santo, come anco nel contado di detta Terra de Leonessa et nella città di Narni, et suoi castelli dove sonno stato per cirurgico cinque anni, et anco in Otricolo, che con quest’occasione so’nno stato più volte ad esercitare la mia professione”.

Se ci spostiamo di qualche decennio questa devozione non solo si manifesta con la volontà di potenziare la Confraternita, la nascita dell’Oratorio e la celebrazione di un Triduo in preparazione alla festa, ma ai più sorge il desiderio di custodire in Otricoli una Reliquia del Corpo dell’ormai Beato Giuseppe da Leonessa, proclamato ufficialmente dalla Chiesa, e conservato nel Santuario. Così l’8 ottobre del 1737 i Priori di Leonessa mandano una lettera ai Priori di Otricoli che, in antecedenza, ne avevano fatto richiesta: “Ci ha recato estremo contento il vostro graditissimo Foglio per la memoria che tengono, delle grazie ricevute da codesto Popolo per intercessione del Beato Giuseppe, nostro concittadino che, per la divina clemenza si è avuto costantemente di venerarlo nell’altare, così come molto largamente hanno fiducia praticare, godere il di lui valido battesimo anche in cielo. (…) Sin dal giorno che fu riunito il S. Corpo fu avuto promessa di farle partecipare delle S. Reliquie consistenti in un Osso, seu articolato, del Deto e parte del Cilizio indossato dal medesimo Beato e ora si avanza la notizia, ad oggetto, che si compiacciono mandare, o venire a riceverle, secondo stima’rranno più proprio averle”. Il 23 ottobre i Priori di Leonessa scrivono di nuovo ai Priori di Otricoli: “Affinché le Signorie vostre illustrissime possano aver in tempo le Reliquie del nostro Beato per celebrar il Triduo in onore del medesimo furono consegnate ad Signor Don Paolo Giovenale, nostro concittadino e restiamo in attesa di conoscere il giorno che le riceverete (…)”. Così: “(…) vengono al sudeto consegnate le Reliquie del medesimo Beato Giuseppe consistenti in un pezzo d’Osso e parte del Cilizio o Giacco di Crine di cavallo che indossò in vita il medesimo nostro Beato”. Il 27 ottobre del 1737 i Priori di Otricoli scrissero ai Priori di Leonessa lamentandosi di aver ricevuto uno Scattolino senza il sigillo e, recandosi a Calvi, per incontrarsi col Vescovo e chiedere a lui il permesso di riporre le Reliquie all’interno di un Reliquiario d’argento, trovarono una brutta sorpresa perché all’interno dello Scattolino: “(…) fu trovata una particella d’Osso di detto Beato della grandezza quanto la punta del Dito articolato, segato in due parti e senza l’accennata parte del Cilizio”. Non sto qui a prolungarmi col carteggio tra le due Confraternite e col sacerdote Don Paolo Giovenale! Le Reliquie furono inviate ma non arrivarono a destinazione completamente perché troppi le volevano. La soluzione al problema ce la offre una lettera di Francesco Rauco al sacerdote Paolo Giovenale: “Al ritorno in patria sento le gran doglianze avanzate dalla Comunità d’Otricoli che, replicatamente asserisce non essere corrispondente la Reliquia dell’Osso alla qualità esposta nella lettera scrittali. (…) Il detto Osso articolato, aperto lo Scattolino, dicono averlo da più lati veduto sigato et il Cilizio ne pur l’è stato consegnato. Onde veda, di grazia, con la di lei buona maniera e prudenza, di far quietare li medesimi Priori d’Otricoli, et so che, secondo vostra bontà, in questo nostro paese facilmente si accende il foco! Quanto poi al Cilizio, la prego riflettere, che io dissi confidenzialmente, se poteva riuscire di levare un pezzetto per lei e per il nostro Avvocato; che conveniva farlo cautamente e consegnarli la parte rimanente in modo che non se ne accorgessero i Signori Otricolani, i quali, per verità, non po’nno che ottener ragione di lagnarsi molto!”. Se i Priori di Leonessa e di Otricoli avessero saputo come erano ambite le Reliquie di San Giuseppe da Leonessa non si sarebbero fidato troppo facilmente!