Testimonianza di ANSIDONIA PALLA
Sono stata esaminata un’altra volta a Leonessa molti anni fa, a casa di Giuseppe Pulcini, dal notaio Agostino Sebastiani da Leonessa e da altri che non ricordo i nomi su questa grazia e sul miracolo che ho ricevuto. Alla teste fu chiesto se fosse a conoscenza che altre persone avessero ricevuto grazie o miracoli per intercessione del suddetto padre fra Giuseppe Cappuccino da Leonessa, quali, in che tempo e quali fossero nei particolari. Il primo aprile 1630 di circa nove anni fa, io partorii un figlio maschio che aveva sempre gli occhi chiusi e aveva le palpebre talmente attaccate insieme che non si distingueva alcun segno di divisione. Il giorno dopo lo battezzammo e gli mettemmo nome Felice. E poiché la sua condizione non cambiò nei quattro giorni seguenti, mandammo a chiamare Tommaso Palla, medico, che venne e visitò accuratamente il bambino; gli toccò la cavità oculare e le palpebre che erano così serrate. Si rivolse a me e a mio marito e a mia zia Giuli e ci disse: “Raccomandatevi a Dio perché il bambino è cieco e con i rimedi umani non potrà recuperare la vista perché sotto le palpebre chiuse non ci sono gli occhi e si mostra insensibile” e se ne andò. Tornò altre volte, perché era un mio parente, e mi consolava perché io piangevo e sempre il bambino fu trovato allo stesso modo. Anzi, per consolarci, gli legò un laccio al collo che non apportò giovamento al fanciullo. Dopo otto mesi dalla sua nascita, un giorno di dicembre, quasi ispirata da Dio, decisi di raggiungere [60v] la chiesa dei Padri Cappuccini di Leonessa portandomi il bambino con l’intenzione di raccomandarlo al beato Giuseppe Cappuccino e di farlo toccare con le sue Reliquie che venivano conservate in quel Convento; con me c’era mia zia Giulia. Suonai la campanella e venne ad aprire fra Giuseppe Mastrozzi. Gli confidai il mio desiderio e andò subito a prendere le Reliquie del beato Giuseppe, in particolare il Cuore, e lo portò in chiesa. Ci invitò ad inginocchiarci e a recitare il Padre Nostro e un’Ave Maria. Mentre noi stavamo pregando lui toccò, anzi fece il segno della Croce sopra il bambino che io tenevo in braccio e subito si aprirono le palpebre e si videro gli occhi e le pupille che si erano formate e che ci vide ne avemmo dei segni: gli misi davanti gli occhi la corona del Rosario e lui mostrò di vederla e fece come se volesse morderla con la bocca dal momento che le sue mani erano fasciate. Al vedere questo grande miracolo, i nostri occhi si riempirono di lacrime e ringraziammo il beato Giuseppe che ci aveva impetrata questa grazia da Dio. Poi tornammo a casa e tutte le persone di Leonessa che incontravamo per strada restavano meravigliate e ci chiedevano come fosse successo e noi raccontavano tutto nei minimi particolari.
Testimonianza del REVERENDO PADRE FRA MICHELANGELO CAPPUCCINO SENESI
Quando ero Novizio, ho inteso dire, ma non ricordo da chi, che il Padre fra Giuseppe, quando andò a predicare ad Attigliano, trovò quella gente a ballare in piazza e lui li rimproverò dicendo loro che se non si fossero pentiti avrebbero finito per mangiare le foglie degli alberi per la fame e poco dopo infatti ci fu una carestia e fu necessario mangiare i fiori degli olmi.* E questo mi sembra che me lo riferì Fra Rufino da Perugia, Compagno del suddetto Padre fra Giuseppe, e questo se verificò circa 42 anni fa, ma lo seppi a Leonessa e non sò e non ricordo che mi abbia parlato di altro. Mentre Padre fra Giuseppe stava predicando all’Abbazia di San Pietro in Ferentillo, nella Quaresima di 34 anni fa, ero suo Compagno e trovai al’interno di un armadio una pentola di fave lesse che noi avevamo riposto lì molto tempo prima; erano ormai putrefatte e rovinate e così presi la pentola e la gettai dalla finestra quanto più lontano, forse all’altezza di 16 piedi. Il padre stava a pregare in chiesa. Dopo poco mi accorsi che quella pentola non si era frantumata né tanto meno l’acqua era uscita fuori, ma rimaneva ancora in piedi con le fave dentro. Mi meravigliai di questo ma anche pentito per averla gettata giù sotto: scesi subito in strada, ripresi la pentola e la riportai sopra, la riposi al suo posto. Intanto il padre fra Giuseppe era tornato dalla chiesa e un po’ risentito mi rimproverò: “Che hai fatto?”. Mi vergognai: forse aveva visto il mio gesto mentre pregava in chiesa? So solo che quelle stesse fave le mangiammo il giorno dopo ed erano buonissime! Il teste fu interrogato in che modo credesse che il padre Giuseppe avesse saputo il fatto raccontato e narrato dal momento che non era presente, ma lontano e stava pregando in chiesa? Credo che il fatto gli sia stato rivelato dall’Angelo Custode dato che lui non ha potuto né vederlo né sentirlo eppure mi riprese tutto alterato: “Dimmi, che cosa hai fatto?”, mostrando di conoscerlo. Un’altra volta mi successe che io avevo fatto preparare alcuni pani bianchi per farli mangiare al Padre fra Giuseppe dopo le sue continue fatiche e glielo misi davanti. Lui, preoccupandosi più di me che di se stesso, ne tolse uno e lo pose davanti a me perché lo mangiassi. Al contrario, io ripresi quella pagnotta e la rimisi vicino a lui e questo scambio andò avanti per un po’ perché io volevo mangiare un pane scuro. Alla fine, perché questo gioco terminasse, presi quel pane e lo gettai contro il muro perché cadesse per terra sopra la paglia dove lui si metteva a riposare. Credetti che fosse caduto per terra o sulla paglia, come riferito, mentre, con meraviglia, lo vidi di nuovo sul tavolo che si muoveva piano piano verso di me, ma non vedevo chi lo spostava. Allora padre fra Giuseppe mi disse che questo era opera di Dio: “Hai visto, hai visto?!” E così lo mangiai perché non si può resistere alla volontà di Dio! Il teste fu interrogato perché dicesse dove e quando e alla presenza di chi fosse avvenuto ciò. Questo avvenne dentro l’Abbazia di San Pietro in Ferentillo, in tempo di Quaresima, verso la Settimana Santa; non c’era presente nessuno all’infuori di noi.
Testimonianza di BONAVENTURA CIACCHITTO DI LEONESSA
Circa diciassette anni fa, mio nipote Francesco Antonio Gallascio, figlio di Giovani Gallascio e di Angela mia sorella, da un anno era malato a causa di una febbre sottile e per due pustole, una davanti a destra e l’altra, sempre a destra ma sotto la spalla, corrispondenti l’una a l’altra. Per chiarirlo chiamammo tre medici forestieri che gli praticarono molte cure e gli diedero sciroppi, medicine e molti impiastri, ma tutto senza esito positivo. Alla fine, sia i medici forestieri che quelli locali, dessero che non c’erano più speranze né rimedi.. Così, poiché non speravamo più che recuperasse la salute con le medicine umane, alla madre e a lui venne in mente di ricorrere Bonaventura Ciacchitto di Leonessa, all’intercessione del beato fra Giuseppe da Leonessa. Così un giorno si recarono al Convento dei Padri Cappuccini, dove erano conservate alcune Reliquie del beato e pregarono il Padre Guardiano, far Matteo Silvestri da Leonessa*, che ora è morto, di toccare mio nipote con quelle Reliquie. Per ottenere questo si trattennero tutto il giorno ma il padre Guardiano non volle dar loro soddisfazione toccandolo come desideravano, affermando che erano state chiuse per ordine di un Monsignore, di cui non ricordo il nome, e che non poteva prenderle. E così la sera tornarono a casa, piangendo e disgustati. La mattina seguente io stesso mi recai al Convento e manifestai apertamente al Guardiano fra Matteo il mio dispiacere, lamentandomi per il fatto che aveva negato la volontà di toccare mio nipote con le Reliquie, come aveva fatto con altri. Lui si scusò e aggiunse che poteva soltanto darmi un pezzettino di tunica che aveva lui ed io, accontentandomi, gli chiesi di portare quel pezzetto alla casa di mia sorella e a mio nipote. Lo stesso giorno, dopo mezzogiorno, venne e lo diede a mia sorella. La sera stessa, al momento di medicare suo figlio, divise quel pezzetto di tunica e una parte la pose sulla piaga che stava avanti e un’altra su quella di dietro e, soltanto dopo, mise il solito impiastro e le solite fasce. Dopo aver fatto ciò, andò a dormire e per tutta la notte il figlio stette tranquillo come non era mai successo da quando si era ammalato. La mattina seguente la madre andò a vedere e a medicare le pieghe, levò le fasce e vide che entrambe le piaghe erano asciutte, si erano richiuse e rimase soltanto il segno della cicatrice. Mio nipote, così, fu liberato dalla febbre sottile e fu libero da ogni infermità e dopo tre o quattro giorni si alzò dal letto, recuperò le forze e da allora non si è più ammalato.
Testimonianza di PADRE FRA FRANCESCO CAPPUCCINO
Dopo la morte di fra Giuseppe, la veste e gli altri oggetti usati in vita da lui, sono stati da tutti considerati come Reliquie di santo e ora sono grandemente venerate non solo dalle nostre parti ma anche a Parma; a Madama Serenissima è stato portato un pollice, con il quale, si dice, siano state operate molte grazie, in virtù proprio della fede. (…) La Signora Franceschina Cardoni si trovava in una sua vigna di Fornoli vicino Amelia e arrivò un forte temporale con tanta grandine, tanto da rovinare tutti quei paesi, ma si salvò solo la sua vigna perché lei l’aveva aspersa con l’acqua con cui era stato il dito (di San Giuseppe). In particolare toccò gli alberi che pendevano fuori dalla vigna senza attaccare l’interno della vigna. Di questo sono a conoscenza, perché fu lei a raccontarmelo.
Altra testimonianza di PADRE FRA FRANCESCO CAPPUCCINO
Ancora, ricordo che donna Costanza Venanzi, una mia parente di Leonessa, poiché era sterile, si raccomandò più volte al padre fra Giuseppe per avere dei figli e lo pregò con insistenza. Alla fine fra Giuseppe le confidò: “Sta’ allegra perché sei incinta, avrai un figlio maschio che chiamerai Giuseppe”. E così fu. Oggi vive ed è Arciprete di san Giovanni in Rieti. Questo particolare lo conosco perché fui presente quando fra Giuseppe la esortò a stare allegra perché era gravida e avrebbe partorito un figlio maschio, come ho appena riferito. E fui presente anche altre volte quando lo invocava perché pregasse Dio per la successione e così avvenne e Gioacchino, suo padre, e Costanza, sua madre, mi dissero che nacque il figlio maschio, che fu chiamato Giuseppe.
Testimonianza del REVERENDO FRA BENEDETTO LAICO CAPPUCCINO DI ANCARANO
Mi trovavo con fra Girolamo da Leonessa a Campli di Norcia, circa cinque anni fa, dove eravamo andati per capire come si era verificato il miracolo del vino operato da padre fra Giuseppe. Lì trovammo una donna chiamata Finaura che viveva a casa sua e ci raccontò come era accaduto questo miracolo: un giovane di quindici anni, figlio di una donna povera di quel luogo, era ammalato; allora la madre pregò Finaura di intercedere perché il padre fra Giuseppe da Leonessa, che in quel tempo era impegnato a predicare in quel Castello, lo andasse a visitare, visto che a lei fu impossibile avvicinarlo nonostante che avesse insistito molto. Lei ci andò, in compagnia della madre del figlio malato, e finalmente lo convinse a visitarlo. Quando andò trovò il giovane a letto e con la febbre perché aveva una piaga nel petto e la mamma era in ansia per la sua vita. Il Padre lo avvicinò, gli fece un segno di Croce in prossimità della piaga, quindi si rivolse alla mamma e le chiese di rifocillarlo con la zuppa fatta di vino. Lei rispose che in casa non aveva vino; padre fra Giuseppe la invitò di nuovo a guardare bene all’interno di una stanzetta ove c’era un boccale e lì avrebbe trovato il vino. La donna, sicura di sé, replicò che non era possibile perché lei era povera e da tempo in casa sua non c’era più vino. Il padre, al contrario, la invitò di nuovo che Dio aveva provveduto e se ne andò. Appena uscito il padre, la madre si accorse che il figlio era migliorato molto. Poiché la piaga si era aperta, la donna quasi ispirata da Dio, si recò a guardare nel boccale e lo trovò pieno di vino. Superata la meraviglia iniziale e per obbedire al Padre fra Giuseppe, preparò un po’ di zuppa col vino e la diede da mangiare al figlio. Questi, appena l’ebbe mangiata, si ritrovò sano e libero in pochissimi giorni! Questo è, come già ho detto, quanto mi ha raccontato Finaura. Era presente il padre fra Girolamo Cappuccino da Leonessa. La madre si recò subito a ringraziare il padre fra Giuseppe che stava predicando. In seguito, dopo la morte di fra Giuseppe, mio zio Fra Andrea mi riferì di un chirurgo, di cui non so il nome, si tagliò il dito con il bisturi e gettava sangue. Il medico Severo, che era presente, gli disse: “Metti sulla ferita un po’ del sangue di fra Giuseppe”. Questi lo fece e la ferita si rimarginò subito e poté tornare a svolgere il suo lavoro. Questo particolare me lo raccontò mio zio, a casa mia, ad Ancarano, quando ancora non ero frate, ma non ricordo chi fosse presente e in quale circostanza me lo narrò. Sempre allora mi riferì che quando il corpo di fra Giuseppe da Leonessa stava in chiesa, vide che il suo viso e la sua mano sudavano.
Testimonianza del NOTAIO FILAURO, DI PIETRO QUAGLIA DI BORBONA
Io, a circa otto o nove anni di età, stavo a Borbona, a casa mia, ammalato di febbre e di emorragia; erano ormai passati quattro mesi ed ero in fin di vita; i medici mi avevano dato per spacciato, in particolare il medico Severo di Amatrice. Un giorno, mio padre Petronio, aveva sentito che lì a Borbona era arrivato il padre fra Giuseppe da Leonessa e andò a trovarlo, lui si trovava nella chiesa della Madonna della Porta. Fra Giuseppe si accorse che mio padre era triste e gli chiese il motivo. Rispose che aveva un figlio, cioè io, in fin di vita, senza alcuna speranza, a dirla dei medici. Lui gli replicò di non prendersela perché non era niente. Così, dopo aver fatto tappa nella casa dell’Arciprete Lopez e dopo aver sostato un po’ in preghiera nella chiesa della Madonna della Porta, disse a mio padre: “Porta qui tuo figlio”. Lui, di rimando gli disse che non poteva perché era troppo malato; il padre fra Giuseppe insistette: “Vai a prenderlo”. Tornò a casa mi trovò che stavo in piedi e mi teneva per mano una mia zia. Allora mio padre, stupito, si fece il segno della Croce ed esclamò: “Come è possibile che sia in piedi?” Presomi in braccio mi disse che voleva portarmi a padre fra Giuseppe e mi portò in casa dell’Arciprete. Come padre fra Giuseppe mi vide, mi accarezzò e mi fece il segno della Croce sulla testa e mi mise al collo una immaginetta che si tolse dalla manica. Dopo questo, mio padre mi riportò a casa e mi sentii guarito, mi tornò l’appetito, recuperai le forze e tutti i miei parenti ritenevano che avessi avuto un miracolo.
Testimonianza di PADRE FRANCESCO CHIODOLI DA LEONESSA
Da li stessi Vituzzi, dal notaio e da altri nominati seppi che nello stesso periodo a Otricoli c’era un uomo povero, che aveva una famiglia a carico e non aveva il cibo per mantenerla. Il Padre lo andò a trovare e si rese conto del vero bisogno. Invitò il pover uomo a seminare nell’orticello della sua casa un po’ di ceci e questi spuntarono in ventiquattro ore e maturarono, e man mano che venivano colti rinascevano in una quantità sempre maggiore. In questo modo l’uomo poté dar da mangiare alla sua famiglia.